
I Castelli del Ducato
OH! CHE BEL CASTELLO Marcondirondirondello
Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla nasce ufficialmente il 16 settembre 1545 con bolla papale di papa Paolo III Farnese che lo affida al figlio Pier Luigi deciso a contrastare l’avanzata spagnola.
Ma le origini dei castelli, delle roccaforti e dei borghi medievali annessi che si ritrovano in questi territori e che ancora oggi ci permettono di camminare letteralmente nella storia, risalgono a secoli prima, in quell’età “di mezzo” caratterizzata dal feudalesimo che dall’anno mille (basso medioevo) segna la ripresa dell’economia, della cultura e dell’arte in Europa dopo un periodo piuttosto buio di guerre ed invasioni (alto medioevo).
Nella regione di Parma e Piacenza, ancora prima che sorgesse il ducato, si susseguirono diverse importanti dinastie che lasciarono la loro impronta nei possedimenti sparsi tra colline e pianura: Rossi, Sanvitale, Sanseverino, Dal Verme, Torelli, Scotti, Sforza, Landi, Visconi, Pallavicino, Farnese, Borbone fino ad arrivare a Maria Luigia d’Austria e Napoleone.
Attraversare le sale e gli appartamenti della Reggia di Colorno, dominare con lo sguardo vallate e profili di dolci colline dai masti di Vigoleno e Castell’Arquato, perdersi nelle sale splendidamente affrescate della Rocca dei Rossi a San Secondo, ritrovare un’epica storia d’amore sulle mura di Roccabianca… sono solo alcuni dei privilegi che questi incantevoli territori ci regalano.
E forse uno dei periodi più belli per visitare questi luoghi è l’autunno inoltrato quando le foglie dei parchi creano un’elegante cornice ai mattoni di rocche e castelli e la nebbia, caratteristica di questa regione, avvolge con un alone di mistero le vie e gli accessi a queste dimore utilizzate fin dal medioevo, dove risuonano ancora i passi di dame e cavalieri.

#imperdibile ROCCA SANVITALE A FONTANELLATO
La Rocca dei Sanvitale sorge fiera ed intatta al centro del paese di Fontanellato, circondata dal suggestivo fossato ancora oggi pieno d’acqua, con una pianta quadrata dai muri merlati, 4 torri ai lati ed un cortile interno.

Le sue origini risalgono al 1124 con una prima torre difensiva, per essere poi dal 1386 ampliata, completata e ristrutturata dai Sanvitale fino a diventare una dimora residenziale. E dai Sanvitale è stata abitata fino al 1948 permettendole di mantenere l’aspetto nobile ricco di mobili, suppellettili e opere d’arte del Cinquecento, del Seicento e del Settecento.
La visita all’interno della Rocca si sviluppa tra sale poste al piano terreno ed al piano nobile.
Al primo piano si passa da una sala delle armi ancora pregna di echi di guerre lontane, ad una sala da pranzo con un grande camino e arredi e stoviglie che rimandano a momenti di convivialità e di pace.
Di seguito, tra le altre, una sala da biliardo, una sala da ricevimento, la camera nuziale, fino ad arrivare alla Galleria degli antenati, dove alle pareti sono appesi 74 ritratti della nobile famiglia dei Sanvitale.
Ma il gioiello più prezioso e più famoso dell’edificio si trova al piano terreno dove si può ammirare la “Saletta di Diana e Atteone” pregevolmente affrescata nel 1523-24 da un giovane Parmigianino (Francesco Mazzola – Parma 1503 – Casalmaggiore 1540) per il Conte Galeazzo Sanvitale e la moglie Paola Gonzaga. Le 14 lunette del soffitto riprendono, dalle Metamorfosi di Ovidio, il mito di Diana e Atteone, sovrastato da meravigliosi putti ed un fitto pergolato che si apre, al centro, alla volta celeste dove si staglia uno specchio rotondo con l’epigrafe “Respice finem”. Un vero capolavoro che non ci si stancherebbe mai di osservare.
Dal cortile poi si accede anche ad un giardino pensile ricavato tra le mura dell’edificio e le mura difensive, di conseguenza strutturato come un corridoio, utilizzato dai Sanvitale per passeggiate tra fiori ed erbe aromatiche.
All’estremità del giardino, all’interno della torre sud, si può visitare la Camera Ottica ottocentesca, unica ancora funzionante in Italia, che con un sistema di specchi e un prisma, inseriti in corrispondenza delle antiche feritoie, riflettono su due schermi concavi posti orizzontalmente al centro della stanza, l’immagine a 180° della piazza antistante la rocca. Il famoso fotografo Luigi Ghirri così la descrive: “Come se, miniaturizzati, potessimo per incanto entrare in una macchina fotografica. Da più di quattrocento anni, questa foto-telecamera primordiale ripete al sorgere del sole questo miracolo: osservare nell’immagine come la luce che gradualmente si stende sul piazzale disegna i contorni, accende i colori, le cose, le persone fino alle nuvole in cielo appena dietro alle case di Fontanellato”. I Sanvitale la vollero non per controllare i propri sudditi ma come un gioco di società in voga a fine Ottocento che portava tra i nobili i progressi della scienza.
Un altro prezioso oggetto custodito in un’apposita sala della rocca è lo Stendardo della Beata Vergine di Fontanellato, un grande drappo di damasco rosso dipinto sui due lati e ornato da frange, realizzato nella metà del 1600. Molto probabilmente venne utilizzato come bandiera sulla galea capitanata dal conte Stefano Sanvitale e che solcò il Mar Mediterraneo durante la guerra di Candia.
Le strade di Fontanellato intorno alla Rocca si animano spesso per mercati ed eventi programmati per lo più nei fine settimana, una bella occasione per unire alla visita del Castello una passeggiata in un tipico borgo padano. Per valutare le varie proposte puoi cliccare qui.
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#intantocheseili La Rocca Meli Lupi a Soragna
Dimora storica ancora oggi abitata dai discendenti dei principi Meli Lupi, proprietari della Rocca fin dalla sua costruzione come maniero medievale nel 1385.
A pianta quadrata, la Rocca presenta agli angoli quattro torri merlate, più una quinta posta a metà della facciata e dalla quale si accede all’interno dopo aver attraversato un fossato ancora presente sui tre lati anteriori della struttura. Dalla parte opposta, sul retro, si sviluppa un romantico giardino all’inglese con un bel laghetto circondato da grandi alberi, fiori e sentieri che si inoltrano tra statue, panchine, collinette e grotte.
Percorso il ponte difeso da leoni settecenteschi, e varcato l’ingresso, si accede ad un cortile interno passando da un porticato ancora oggi affrescato con un motivo di rami di vite che risale alla metà del 1400.
Distribuite attorno al cortile e nel piano superiore si possono visitare diverse stanze e gallerie ricche di arredi barocchi, stucchi, affreschi e arazzi.
Si susseguono, tra le altre:
la sala del Biliardo del 700 con i ritratti degli antenati,
la sala delle Grottesche di ispirazione pompeiana,

la sala Gialla con affreschi che illustrano la vita di Ercole,
la sala delle Donne Forti, così chiamata per gli affreschi di scene della bibbia che celebrano Giuditta e Sisara più forti dei rispettivi Oloferne e Giale,
la sala del Trono, trionfo di broccato rosso e ornamenti dorati,
la grande sala nuziale con l’intimo talamo racchiuso da un cancelletto,
il salottino dorato che come un gioiellino racchiude preziosi marmi e arredi dorati,
la Cappella di Santa Croce,
la sala d’armi
e la meravigliosa Galleria dei Poeti che conduce ad una terrazza con vista sul giardino e sul lago.
Infine visitare la galleria delle Monache permette di passeggiare in più di un secolo di storia raccontato dai reperti appartenuti nel tempo alla famiglia, tra capi d’abbigliamento, onorificenze, carrozzine, un velocipede e una macchina elettrostatica.
E come qualsiasi castello che si rispetti si dice abbia anche il suo fantasma: Donna Cenerina, al secolo Cassandra Marinoni, assassinata insieme alla sorella dal marito di quest’ultima per impossessarsi della sua eredità a seguito del divorzio. L’assassino rimase impunito e da allora pare che la sfortunata Cassandra vaghi inconsolabile per le stanze della dimora dove visse con il marito Diofebo Meli Lupi II nel 1500.
#intantocheseili La Rocca dei Rossi a San Secondo Parmense
Da fortezza medievale edificata intorno al 1413 a sfarzosa residenza rinascimentale, la Rocca dei Rossi ha ospitato una delle famiglie più illustri del Parmense e ancora ne conserva l’eleganza e l’opulenza dipinta sulle pareti.
Una parte della struttura originaria fu purtroppo abbattuta all’inizio del 1800 quando la famiglia Vaini, eredi designati dall’ultimo conte dei Rossi, adottarono questa soluzione, insieme alla vendita degli arredi, per coprire e contenere gli elevati costi di gestione della residenza.

Resta comunque visitabile una buona parte del piano nobile dove gli affreschi delle scuole di alcuni degli artisti più famosi del 1500, Cesare Baglione, Orazio Samacchini, Ercole Pio, Bertoja e Procaccini, sono ancora perfettamente conservati. Favole, miti e storie del casato si susseguono nelle stanze che lasciano incantanti.
Dal cortile si percorre lo scalone d’onore per accedere al piano nobile che inizia con la Sala di Bellerofonte.
Qui festoni vegetali, fiori e frutti ripercorrono lo scorrere delle stagioni e insieme a delicate grottesche fanno da cornice alla volta centrale, dove l’eroe greco Bellerofonte uccide la Chimera, rappresentando l’eterna lotta del bene contro il male.
Si attraversa poi la Galleria di Esopo, così chiamata perché arricchita dai dipinti di tredici favole dell’antico scrittore greco, come le riconoscibili La volpe e il cinghiale, La volpe e il leone, Il lupo e l’agnello, La volpe e le maschere, e Gli asini e Giove, per accedere ad altre sale riccamente affrescate.
La Sala delle Favole, rappresentate da: Il lupo e la gru, La volpe il cane e il gallo, I topolini in assemblea ed Il leone morente insultato dagli animali di rango inferiore, a ricordare che anche i potenti sono destinati a perire.
La Sala di Momo o della Maldicenza con un vero e proprio “fumetto” che racconta la storia di un mugnaio e di suo figlio che vanno al mercato con un asino. Nel primo riquadro (sopra al camino) entrambi vanno a piedi, nelle scene successive, in senso antiorario, padre e figlio incontrano dei passanti che li criticano per qualsiasi soluzione adottata, perché nessuno dei due utilizza l’asino, perché dovrebbe cavalcarlo il padre anziché il figlio, poi viceversa, e infine che dovrebbero salirci entrambi. Fino a che l’animale sfinito e morente non potrà più essere venduto al mercato e viene gettato in un burrone. La morale è riportata nella didascalia della volta: “Momus ubique”: la maldicenza sta dappertutto.
La Sala dei Cesari, caratterizzata da immagini classiche di imperatori romani, matrone, damigelle e cavalieri alternate a rilievi in medaglioni e cammei.
La Sala dell’Asino d’Oro, utilizzata come camera nuziale da Pier Maria Rossi III e Camilla Gonzaga, contiene gli affreschi più antichi del castello che in 17 quadri raccontano la vicenda di “Lucio – l’asino” (tratta da “Le Metamorfosi” di Apuleio), un uomo diventato asino per colpa della sua smodata brama di approdare sempre a nuove conoscenze.
Il percorso continua quindi nella zona di rappresentanza del Castello, ricca di camini in marmo rosa di Verona, originali della seconda metà del 1500, e di cicli pittorici ispirati alla mitologia classica di Omero, Virgilio e Ovidio. Qui si susseguono la Sala degli Atleti, la Sala di Mercurio con il Dio delle Arti e delle Scienze circondato da otto arti liberali (Medicina, Geometria, Matematica, Astrologia, Musica, Pittura, Scrittura, Eloquenza), e la Sala di Circe e Didone che desiderano la pace, la serenità e l’amore come il committente Troilo II che vorrebbe lo stesso per la sua famiglia sempre minacciata da nemici vicini e lontani.
Nell’ala Est si attraversano poi 3 sale accumunate da un unico filo conduttore: un ciclo di affreschi che ricordano le punizioni che spettano a chi osa sfidare potenti e Dei.
La Sala di Latona, dove la dea greca è raffigurata con i figli Diana e Apollo, che in fuga dalla gelosa Giunone tentano di riposarsi sulla riva di un fiume. Vengono però disturbati dagli arroganti contadini che Latona trasforma quindi in rane come punizione per averle negato un momento di riposo.
La Sala di Adone, che contro il volere di Giove ha osato amare, riamato, Venere. Viene rappresentato morente tra le braccia dell’amata su un finto arazzo appeso ad una balconata. A fare da cornice diversi ritratti dei componenti più importanti della casata dei Rossi.
La Sala dei Giganti che sfidarono Giove e vennero di conseguenza cacciati dall’Olimpo, racconta diverse punizioni epiche accostate all’iconografia di una scimmietta che vuole ridicolizzare tutti coloro che non hanno saputo valutare i propri limiti e si sono permessi di affrontare con arroganza i più forti. Come Prometeo che ruba il fuoco al sole e viene di conseguenza legato ad una rupe dove un avvoltoio gli mangerà il fegato in eterno, o Fetonte, fulminato da Giove e precipitato nell’Eridano perché volle ad ogni costo guidare il cocchio paterno. E ancora Icaro che precipita nel mare Egeo avendo osato volare troppo vicino al sole, e infine i figli e le figlie di Niobe che vengono uccisi perché la madre pretese sacrifici al posto di Latona.
E per finire in bellezza il viaggio nella dimora dei Rossi, ci si ritrova nella maestosa e suggestiva Sala delle Gesta Rossiniane che celebra la grandezza e la potenza del casato. In 1200 mq di affreschi si susseguono grottesche, allegorie, e 13 quadri-arazzo raffiguranti altrettanti importanti episodi della storia dei Rossi. Sulle pareti, sorrette da quatto cariatidi, si riconoscono le quattro stagioni che hanno il compito di simboleggiare lo scorrere del tempo. Tra le pareti e il soffitto una fascia di armi silenti a ricordare che solo in tempo di pace ci si può dedicare all’arte.
La passeggiata nella storia di una nobile casata merita qualche passo in più tra le vie e sotto i portici di San Secondo fino ad arrivare alla pasticceria Lady, dove concedersi una dolce pausa prima di riprendere il proprio viaggio.
#intantocheseili Il Castello a Roccabianca
Ultimata a metà del 1400 la Rocca dei Rossi viene poi nominata Roccabianca, forse dal colore degli intonaci del Castello ma più probabilmente in onore di Bianca Pellegrini, amata dal nobile Pier Maria Rossi (vedi dettagli della loro relazione non ufficiale nella storia del Castello di Torrechiara), nome che diventa poi anche quello del paese che la circonda.
La rocca fu donata da Rossi a Bianca per poi passare alla sua morte tra i possedimenti dei Pallavicino ed acquisita quindi dai Rangoni tramite un matrimonio. Successivamente si alternarono tra i proprietari il Ducato di Parma, all’epoca di Maria Luigia d’Austria, di nuovo i Pallavicino, che vendono ad un proprietario terriero bresciano che vi crea degli appartamenti e che poi la cede all’attuale possidente: la famiglia Scaltriti che, proprietaria delle distillerie Faled, inizialmente la utilizza come cantina di invecchiamento per i propri prodotti e decide in seguito di restaurarla ed aprirla al pubblico.
La Rocca, dalla tipica struttura di un castello di pianura, si sviluppa in orizzontale con un cortile centrale, due torri angolari quadrate, un alto mastio e mura difensive originariamente doppie con relativi fossati. E come altri edifici simili sorti nelle zone circostanti, presenta sia una struttura difensiva – militare, che le caratteristiche di una dimora signorile e raffinata.
Accedendo dal ponte in muratura, che sostituì quello originario levatoio, si arriva nel cortile interno dove spicca un portico a tre arcate finemente affrescate, che da subito testimonia il legame di Pier Maria Rossi con l’amata Bianca Pellegrini. Su pareti e soffitto si intrecciano infatti gli stemmi di Bianca e della nobile famiglia dei Rossi anche se poi coperti parzialmente da quelli dei nemici Pallavicino. Tutt’intorno ghirlande di foglie, frutti, nastri e rametti di nespolo, simboli di fedeltà amorosa, con la scritta “Già acerbo, ora dolce che maturo”.
Grazie ai restauri si possono oggi ammirare diversi decori molto interessanti delle varie epoche che il Castello ha attraversato. Quelli della celebre Sala di Griselda sono purtroppo solo fedeli copie degli originali esposti al Castello Sforzesco di Milano, ma raccontano comunque splendidamente la centesima novella del Decamerone di Boccaccio. Nel resto delle sale si susseguono, sulle pareti e su soffitti in parte anche lignei e risalenti al 1500, paesaggi reali e fantastici, scene di vita nobiliare, cariatidi, telamoni e coppie d’angeli.
Si può inoltre scendere nei sotterranei del castello fino alle cantine dove sono custodite le botti di rovere per l’invecchiamento di distillati e liquori tradizionali. Interessante anche l’acetaia, sempre delle Distillerie Faled, dove nasce il rinomato aceto balsamico.
Salendo poi in cima al mastio si può godere di una bellissima vista sul borgo sottostante e, nelle giornate limpide, si può addirittura scorgere il Torrazzo di Cremona.
Queste però sono le terre della nebbia, tanto utile nella stagionatura dei salumi della zona, e se l’orizzonte si perde e si nasconde alla vista, ci si può sempre consolare con un buon panino al culatello, famosa prelibatezza di questa provincia.
#imperdibile IL CASTELLO DI TORRECHIARA
Cornice di una storia d’amore, il Castello di Torrechiara fu costruito su un’altura che domina la valle del torrente Parma tra il 1448 e il 1460 dal Magnifico Pier Maria Rossi per la sua amata, Bianca Pellegrini.
Con tre cerchie di mura e quattro torri angolari è uno dei più importanti esempi di architettura fortificata italiana, dal cuore elegante di una residenza rinascimentale con meravigliose stanze affrescate.

La più particolare e rappresentativa è sicuramente la Camera d’Oro, che celebra la nobile dama della quale Pier Maria, già sposato con Antonia Torelli per volere del padre, si innamorò perdutamente dopo averla conosciuta alla Corte di Milano. Anche lei già impegnata in matrimonio, lascia il marito e segue Pier Maria nelle sue terre di origine per vivere con lui il resto della sua vita. Nella Camera d’Oro viene quindi dipinta come una pellegrina nei possedimenti dei Rossi che vengono rappresentati con un ciclo di affreschi dei castelli e dei territori del loro feudo.
Nella stessa stanza inoltre prende vita la storia d’amore tra i due, ritratti in tipici atteggiamenti del mondo cavalleresco-cortese: a partire dall’innamoramento “inevitabile” dopo che un Cupido bendato decide di trafiggere i loro cuori, si vede di seguito Pier Maria inginocchiato davanti a Bianca che pone sul suo capo una corona d’alloro, come simbolo della vittoria in battaglia, poi che gli consegna una spada come una cerimonia di investitura, e ancora Bianca a fianco dell’amato, con una corona sospesa sopra il capo come promessa di un impegno che non poteva essere
ufficializzato. E nella parte inferiore delle pareti un trionfo di simboli in formelle di terracotta, un tempo rivestite d’oro, dove tra gli stemmi dei due amanti spiccano i loro cuori accostati con la scritta “digne et in eternum” (degnamente e per l’eternità).
Oltre la Camera d’Oro, percorrendo gli ambienti che si sviluppano su due piani intorno al Cortile d’Onore, si attraversano spazi di servizio come le cucine e le scuderie, una cappella di corte, e una serie di stanze tutte affrescate a grottesche con scene mitologiche, raffigurazioni del mondo classico romano, figure fantastiche, fiori delicati, animali, giardini, pergolati, putti, ibridi e persone.
Così si susseguono gli ambienti di rappresentanza del maniero affrescati da Cesare Baglione e dai suoi collaboratori: il salone degli stemmi, la sala di Giove, la sala del Pergolato, degli Angeli, dei Paesaggi, la sala della Vittoria, quella del Velario, il magnifico salone degli Acrobati e le quattro sale affrescate con paesaggi raffigurati nelle diverse luci della giornata (le sale dell’Aurora, del Meriggio, del Vespro e della Sera).
Appena oltre le mura della fortezza si può ancora passeggiare tra le case del borgo medievale. E ancora oltre tra i dolci pendii delle colline dove la natura incontrastata si mescola a campi coltivati e filari di viti. Piacevolissima l’esperienza di un aperitivo, o anche di una cena, in vigna, che regalano un’incantevole vista sulla Rocca che riporta alla mente le immagini del film “Ladyhawke”, in parte girato in questi luoghi.
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#intantocheseili La Rocca Sanvitale a Sala Baganza
La maestosa Rocca Sanvitale troneggia ancora fiera sulla piazza centrale di Sala Baganza nonostante ciò che si vede sia un solo lato superstite dei quattro dell’edificio originario. Nell’arco dei millenni infatti tra le mura della rocca si sono succeduti diversi proprietari che ne hanno di volta in volta modificato l’impianto decorativo e rimaneggiato la struttura, cambiandone anche la destinazione d’uso.
Edificata nel 1461 per volontà della famiglia Sanvitale su possedimenti acquistati dalla famiglia Franceschi nel 1258, passò nel 1612 nelle mani dei Farnese che preferirono però Colorno come residenza ducale. Destinarono così la Rocca ad alloggio estivo dei cadetti del Collegio dei Nobili e ad inevitabile decadenza. Rinnovati fasti arrivarono con i Borbone, che subentrarono ai Farnese in seguito all’estinzione della loro discendenza maschile, come Duchi di Parma.
Maria Amalia d’Asburgo, moglie di Ferdinando

di Borbone, la fece diventare la sua residenza per allontanarsi dal marito, che rimase a Colorno, e per ritrovare la sua grande passione per la caccia facendovi erigere un Casino nella riserva ducale. Ma i cambiamenti più sostanziali arrivarono, purtroppo, successivamente, ad opera del tenente Michele Varron che ottenne i possedimenti della rocca e dei terreni adiacenti come premio per l’apporto alle campagne napoleoniche. Fu lui che ne fece abbattere tre lati conservando solamente quello visibile tutt’oggi.
Fortunatamente sono rimaste intatte le sale del piano nobile dove importanti restauri hanno degnamente riportato all’antico splendore meravigliosi affreschi del 1500 ad opera di Cesare Baglione, Ercole Procaccini e Orazio Samacchini. E’ un vero piacere passeggiarci attraverso con il naso all’insù.
La Rocca è inoltre arricchita da un grande giardino Farnesiano settecentesco, oggi pubblico e di libero accesso, e da un interessante Museo del Vino allestito nelle cantine e nell’ex ghiacciaia.
#intantocheseili La Fortezza dei Pallavicino a Varano De' Melegari
Il Castello di Varano de’ Melegari è stato edificato dai Pallavicino nell’anno 1000 su di uno scoglio di pietra arenaria che domina la vallata del Ceno. La scelta della posizione strategica, e lo sviluppo di una struttura a carattere difensivo, avevano lo scopo di rendere il castello una fortezza inespugnabile. E’ questo il motivo infatti anche della particolare disposizione delle tre torri massicce, poste vicine sul medesimo versante rivolto verso la principale via di comunicazione creata dal fiume Ceno. L’ingresso è stato realizzato attraverso una delle torri, in posizione laterale, protetta dalle altre due, per creare uno spazio di manovra ridotto e rendere impossibile utilizzare le armi da guerra dell’epoca per guadagnare l’accesso alla corte interna.
Attraverso i secoli la Fortezza conobbe diversi proprietari, nobili famiglie come i Pallavicino, i Visconti e i Farnese, Duchi di Parma e Piacenza. Nel 1828 subentrò la famiglia Grossardi, nobili esponenti della Carboneria, società segreta e rivoluzionaria, fino al 1900 quando la proprietà passò alla famiglia Levacher e dopo 101 anni al Comune di Varano de’ Melegari.
La visita all’imponente Castello è accompagnata da abili guide in costume medievale che raccontano, oltre alla storia, alle vicissitudini e alle curiosità che riguardano il maniero, anche come si svolgeva la vita in un contesto storico così particolare e affascinante.
Insieme a loro, partendo dall’ingresso originario, si attraversa la corte interna, dove sulle mura sono ancora visibili i fori che anticamente sostenevano dei camminamenti lignei, raggiungibili con scale retrattili, che mettevano in collegamento le diverse sale del piano nobile.

Si raggiunge quindi l’antico mastio che custodisce nella base la famigerata Prigione del Bentivoglio, per poi proseguire verso l’ala quattrocentesca, dove un elegante scalone aggiunto nel 1700 conduce alla sala delle armi. Si accede così ai suggestivi camminamenti di ronda che percorrendo il perimetro dell’edificio conducono ad una terrazza panoramica che regala una piacevolissima vista sulla valle sottostante. All’ultimo livello della fortezza si ritrovano anche le stanze che fungevano sia da alloggio dei servitori, che da depositi per il grano. Attraversando diverse stanze si giunge infine al Salone d’Onore, affrescato ai tempi della famiglia Grossardi.
Sembra che le stesse stanze che di giorno vengono percorse dai visitatori, siano di notte attraversate dal fantasma di una giovane donna vestita di bianco. Analisi strumentali hanno evidenziato voci e sagome misteriose e inspiegabili all’interno del Castello mentre una sessione medianica pare abbia riconosciuto nella presenza che di notte sospira di dolore, la nobile Beatrice Pallavicino che, nata nel 1662 e madre di 4 figli, morì in circostanze misteriose all’età di 21 anni.
Il tutto si può approfondire qui visionando interessanti video del Castello.
#imperdibile MASTIO E BORGO FORTIFICATO DI VIGOLENO
Vigoleno risulta decisamente imperdibile nella sua interezza grazie all’incantevole borgo fortificato, un gioiellino da scoprire pietra per pietra.
Il borgo è racchiuso da imponenti mura merlate, che in parte sono percorse da un camminamento di ronda ancora utilizzabile, e che si modellano nei pressi dell’ingresso in un rivellino, ulteriore difesa all’unico accesso. Subito accanto si erge il mastio quadrangolare che si sviluppa su 4 piani visitabili. Al suo interno ospita un percorso museale che espone documentazioni fotografiche, armi antiche e strumenti di tortura, oltre a reperti fossili rinvenuti nella zona, che in tempi preistorici era ricoperta dal mare. Sul mastio si possono ancora ritrovare feritoie, beccatelli, e i merli ghibellini a cornice della terrazza che occupa interamente il 4 e ultimo piano, e che regala un’eccezionale veduta sul borgo sottostante e sui territori intorno: boschi, campi coltivati ed una parte del parco fluviale dello Stirone. Dal primo piano del mastio si accede al cammino di ronda che conduce alla torre sud collegata alla parte residenziale del castello, accessibile alle visite solo in parte in quanto proprietà privata adibita ad albergo. Nel piano nobile: della sala rossa si possono ammirare gli arredi ed i preziosi decori, un grande salone con un pregevole soffitto a cassettoni, un bel camino arricchito da elaborati ornamenti, e un salotto dei primi del Novecento; della sala blu assaporare l’atmosfera elegante e raccolta del salottino dove spicca un meraviglioso lampadario in vetro di murano che illumina un soffitto stellato. Completano la visita la sala del biliardo preziosa per il suo soffitto, ed un piccolo teatro a dodici posti con affrescati personaggi danzanti, musicisti e figure esotiche.

Mastio e Castello si affacciano su una bella piazza circolare acciottolata che conserva al centro un’originale fontana cinquecentesca.
Sulla stessa piazza si trova anche l’oratorio della Beata Vergine delle Grazie, edificio risalente al Seicento, probabile cappella della nobile famiglia Scotti, utilizzato anche come oratorio pubblico e rifugio per i pellegrini diretti a Roma, come testimonierebbe il rilievo sul lato sud raffigurante San Rocco.
Le origini di questo feudo, arrivato praticamente intatto fino a noi a testimonianza di com’era strutturata e
organizzata la vita nel medioevo, risalgono al X secolo. Diversi ne sono stati i possidenti nel corso dei secoli, Scotti, Visconti, Pallavicino, Farnese e per un breve periodo anche lo Stato Pontificio, ma la sua storia è principalmente legata a quella della famiglia degli Scotti. Dall’inizio del 1300 ne fecero il loro punto di forza e rappresentanza fino ad essere insigniti del titolo di marchesi di Vigoleno dai Farnese nel 1622. Furono gli Scotti, che vi abitarono fino ai primi anni del Novecento, a ripristinare quanto abbattuto del mastio e del castello nel corso degli anni e delle guerre, fino a donare loro quella che è la struttura attuale nel 1400. La rinascita del Castello e di conseguenza del Borgo nel XX secolo fu poi ad opera della Duchessa Maria Ruspoli de Gramont che, dal 1921 al 1935, lo trasformò in uno straordinario salotto culturale che ospitò, tra gli altri, Gabriele D’annunzio, Arthur Rubinstein, Max Ernst e Anna Pavlova.
Tornando a passeggiare per le stradine del Borgo si incontra l’incantevole Pieve di San Giorgio. Edificata nel XII secolo, offre un esempio perfetto di architettura romanica sacra con l’interno a tre navate suddivise da possenti colonne in pietra dai capitelli scolpiti. L’interno è inoltre arricchito da delicati affreschi di santi ed episodi evangelici. La rappresentazione di San Giorgio che uccide il drago si ritrova sia esternamente, scolpita nella lunetta sopra il portale d’ingresso, opera risalente al Duecento, che internamente, nell’affresco absidale, reso decisamente originale dalla presenza di una dama che aiuta il Santo.
Percorrere i vicoli e la storia del borgo è una piacevole esperienza che non si può dire conclusa senza una sosta in uno dei locali che offrono i piatti e i prodotti della tradizione piacentina come la famosa coppa, i pisarei e fasö, e l’immancabile torta fritta (che non è un dolce nonostante il nome).
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#intantocheseili La Rocca Viscontea a Castell'Arquato
Castell’Arquato non rientra negli “imperdibili” solo perché è una lista strutturata per le visite a castelli e roccaforti, ma sarebbe ai primissimi posti in qualsiasi indice di gradimento considerato nel suo insieme di borgo medievale, ottimamente conservato e recuperato.
Inserito in un invidiabile contesto paesaggistico, tra morbide colline, campi curati ed il delicato corso del fiume Arda, si sviluppa sulla sommità di un colle con strade e vicoli acciottolati, abitazioni in sassi ed edifici storici che fanno sì che sembri uscito da una fiaba antica abitata da dame, draghi e cavalieri.
Il nucleo originario di Castell’Arquato risale ad un castrum romano fondato dal patrizio Caio Torquato, che ne determina il toponimo, per diventare successivamente proprietà dei Vescovi di Piacenza, poi della comunità, in seguito della Signoria Viscontea, quindi degli Sforza per entrare a far parte, all’estinzione di questa dinastia, del Ducato di Parma e Piacenza all’interno del quale si susseguono i Farnese, i Borbone e Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone.
Al culmine del colle sul quale si sviluppa il borgo si ritrova l’incantevole piazza municipale sulla quale si affacciano gli edifici storici rappresentativi del potere militare (la Rocca Viscontea), religioso (la Collegiata di Santa Maria Assunta) e politico (il Palazzo del Podestà).

La Rocca Viscontea fu realizzata nel 1342 per volere di Luchino Visconti a difesa del borgo. Dell’edificio originario rimangono purtroppo solo i muri esterni e le quattro torri difensive, di cui solamente una integra, ma che danno comunque l’idea della disposizione della struttura formata da due parti collegate fra loro. Una cinta inferiore, rettangolare, più ampia, utilizzata dalle scuderie e come rifugio della popolazione in caso di pericolo, e una parallelamente superiore, sede del comando e delle milizie, alla quale si accede attraverso il mastio collegato con un ponte levatoio alla piazza. Il mastio, alto 42 metri, accessibile e visitabile dato che tra l’altro ospita il museo multimediale della vita medievale, offre dalla cima una splendida vista sul borgo sottostante e sulla campagna intorno.
La Collegiata di Santa Maria Assunta si affaccia sulla piazza con il gruppo absidale di quella che è una delle chiese più antiche del territorio. Fu edificata infatti nel 1122 molto probabilmente nello stesso punto dove dal 758 esisteva una chiesa altomedievale che plausibilmente conteneva la vasca battesimale circolare ancora oggi conservata all’interno delle sue mura. Il portico che si sviluppa sul fianco sinistro risale invece al 1400 ed è detto del Paradiso perché ospita tombe di personaggi illustri. Dalla parte opposta alla piazza si trova la facciata, realizzata con tufo e arenaria, e sulla quale è possibile riconoscere tracce diffuse di fossili marini testimoni di un periodo preistorico quando queste zone erano ricoperte dal mare. Il chiostro sul fianco destro della chiesa risale al XII secolo mentre l’interno, a tre navate, conserva capitelli e sculture del XII secolo, affreschi degli inizi del XV secolo e una cappella realizzata successivamente nel 1630 come ex voto per la fine della pestilenza.
Il Palazzo del Podestà infine, posto sul lato nord della piazza, è sorto attorno all’antico mastio rettangolare del 1200 al quale dal 1400 sono stati aggiunte le costruzioni successive come la Loggia dei Notari e la scalinata esterna. L’interno conserva praticamente intatta la sala consigliare decorata e con un soffitto a cassettoni.
Dalla piazza poi si snodano stradine e vicoli acciottolati sui quali si affacciano abitazioni medievali incorniciate da vasi di fiori, scorci sulle colline intorno e locali dove concedersi una pausa in un’atmosfera di altri tempi, riempendosi gli occhi di immagini che hanno fatto da sfondo al film “Ladyhawke” qui in parte girato nel 1985.
#intantocheseili Il Castello dei Marchesi Pallavicino a Scipione
Il Castello di Scipione è uno dei più antichi manieri di queste zone, la sua costruzione risale infatti a prima del 1025 ad opera di Adalberto Pallavicino, leggendario condottiero celebrato da Torquato Tasso e Ludovico Ariosto. Ancora oggi abitato dai diretti discendenti di Adalberto, conserva i tratti della struttura originale che univa esigenze militari e difensive a quelle di elegante dimora signorile e di rappresentanza.
Questa dualità è ancora visibile da una parte nell’antico ingresso al mastio, al quale si accedeva da un ponte levatoio, e dall’altra per gli interni che conservano affreschi, arredi, soffitti a cassettoni, camini e decorazioni che vanno dal 1400 al 1600.
Durante il Medioevo il Castello di Scipione rivestì un ruolo di primaria importanza all’interno del Sacro Romano Impero soprattutto grazie alla sua posizione strategica per la difesa, l’estrazione ed il commercio del sale, un elemento indispensabile per la conservazione degli alimenti, che per millenni fu una delle merci più preziose e ricercate.
Ancora oggi la sua posizione risulta invidiabile per il contesto naturale e paesaggistico nel quale sorge circondato da un elegante giardino, un bosco, un raccolto borgo medievale e oltre la campagna e le dolci colline di un parco fluviale naturale. Il percorso di visita passa dal cortile d’onore verso il piano nobiliare alla scoperta di diverse stanze tra le quali spicca il “salotto del diavolo” famoso per la piccola porta che, nascosta tra gli affreschi, si apre su di una scala a chiocciola che conduce al principale passaggio segreto del Castello, antica via di fuga.

Degna di nota una grande tavola imbandita “alla russa” con un raffinato servizio del 1800, con posate d’argento, bicchieri di Boemia e porcellane con lo stemma della famiglia, che trasporta l’osservatore in uno spaccato di vita nobiliare.
La visita termina con un’incomparabile vista panoramica sui territori circostanti che come in un quadro si può godere dalle finestre aperte nel raffinato loggiato del 1600, da dove si può poi ritornare verso il bellissimo giardino percorrendo l’originale scala dei cavalli.
Altri Castelli e Fortezze che fanno parte del Circuito dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli:
- Castello del Piagnaro a Pontremoli – vedi articolo Alla scoperta della Lunigiana
- Castello di Compiano (presto in arrivo*)
- Fortezza di Bardi (presto in arrivo*)
- Castello Malaspina Dal Verme di Bobbio (presto in arrivo*)
- Castello di Rivalta (presto in arrivo*)
- Rocca d’Olgisio
- Rocca e Castello di Agazzano
- Castello di Gropparello
- Castello di Paderna
- Castello di San Pietro in Cerro
- Castello di Tabiano
- Antica Corte Pallavicina a Polesine Parmense
- Reggia di Colorno (presto in arrivo*)
- Castello di Montechiarugolo
(*) Presto in arrivo: non appena visiteremo i castelli l’articolo verrà arricchito di nuovi capitoli 🏰